sabato 18 giugno 2011

Occhio, a Nichi esplodono le Fabbriche!

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«Siete come tutti gli altri!». Avessero mosso un’accusa del genere a voi – non un “voi” a caso: a voi che propugnate un rinnovamento totale della politica, a voi sempre capaci di intercettare le spinte dal basso, a voi infine protagonisti di plebisciti piuttosto destabilizzanti per la partitocrazia – beh, l’avessero detto a voi quel «siete come tutti gli altri!», la cosa vi avrebbe fatto riflettere. Scricchiolare. Discutere. Rinsavire.


L’accusa di conformismo al ribasso che il popolo delle “fabbriche di Nichi” ha rivolto ai vertici del movimento leggero di partecipazione messo in piedi a sostegno della candidatura di Vendola alla Presidenza della Regione Puglia ha squarciato il velo di buonismo che ricopriva certo mobilio elettorale, specie all’indomani della serie di innumerevoli successi ben robusti realizzati in queste stagioni. Una premessa utile: si tratta di fuoco di paglia, o meglio – perdonate l’ironia – di fuoco di Puglia, ma merita di essere raccontato perché dimostra quanto sia acceso il clima politico nazionale, giacché persino una minuscola rete civica rischia ora la deflagrazione – ed il merito è anche di una coscienza smanettona che ha scandito il ritmo goliardico eppure credibile delle ultime campagne elettorali. Il dramma, invero, si è consumato alla Libreria Laterza di Bari nel corso di un dibattito pubblico tra Onofrio Romano, autore di un saggio che analizza criticamente la parabola delle Fabbriche - l’occasione era data, per l’appunto, dallapresentazione del suo testo in cui si legge pure «quasi tutti [quelli che nelle Fabbriche ricoprono ruoli apicali, n.d.r.] hanno un rapporto di carattere professionale con la Regione Puglia: si tratta di consulenti gravitanti all’interno degli assessorati più significativi, ma anche liberi professionisti che intestano all’ente una quota consistente delle loro parcelle, nonché membri di società e associazioni che lavorano con progetti finanziati dalla Regione» - e Nicola Fratoianni, assessore e braccio destro del Governatore pugliese oltre che giovane sinistro di belle speranze. A lui è toccato l’ingrato compito di difendere l’esperienza di cui è stato anche promotore: era il novembre del 2009 e Vendola si sottoponeva alle primarie di coalizione, senza il sostegno di alcuna sigla: «solo contro con(tro) tutti» fu lo slogan vincente. E sempre a lui è scappata un’espressione vellutatamente gramsciana e piuttosto ingrata: «le Fabbriche sono un mero comitato di scopo», che è un po’ come dire: “di voi ci piacciono le feste in piazza e ci interessano i voti, punto”. Dunque, parafrasando il messaggio dell’assessore Fratoianni, per gli operai in cerca di impegno diretto, poche storie!, il mezzo ci sarebbe già: vedere alla voce “Sinistra Ecologia e Libertà”, il piccolo partito in ascesa di cui Vendola è pure presidente.

Apriti cielo. Un articolo del Corriere del Mezzogiorno ha scatenato un gran baccano mediatico: i rivoltosi virtuali altro non sono che operai coinvolti a vario titolo nell’esperienza delle Fabbriche in giro per il Paese, delusi dalle dichiarazioni dell’assessore pugliese d’adozione. Il quale vorrebbe imprigionare l’improvvisazione civica dei comitati spontanei tra le maglie del suo fiero partito rossoverde, pure quello ad immagine e somiglianza del leggendario Nikita (anche il logo, da un anno a questa parte, ha dovuto fare spazio al cognome del capo, testo bianco su fondo rosso; così come la tessera che ne ospita l’effigie, sebbene “l’individuo non esista” - si sarebbe detto in altri tempi). A voler essere banali legulei, si potrebbe citare però una delle “istruzioni per costruire una Fabbrica” pubblicate sul sito, esattamente la numero tre, per fugare ogni dubbio: «la fabbrica di Nichi non si presenta alle elezioni e non è un nuovo partito politico. Non ci sono tessere. Si può partecipare senza dover “appartenere”». Ora, Onofrio Romano è docente di Sociologia dei Processi culturali presso l'Università "Aldo Moro" di Bari ed usa perifrasi quali “dimensione dell'orizzontalità”, “consesso tribale liofilizzante” e “cultura della civicness”, ma ha le idee abbastanza chiare: questi contenitori vendoliani – a suo dire – tutto sarebbero fuorché strumenti della democrazia. Nati in contrapposizione al “Potere”, la loro più forte ambizione è quella di restare puri e realizzare una forma convinta di «individualizzazione integrale», ogni struttura libera da condizionamenti esterni ed interni ed ogni “operaio” (così si chiamano gli aderenti al movimento) libero dalla struttura stessa: in perenne tensione verso la propria idea di attivismo. Il sociologo, che definisce Vendola «un roditore infiltratosi nelle istituzioni per svuotarle dall'interno e assicurare così ai cittadini il massimo grado di autodeterminazione», si pone un interrogativo serio: come fanno a stare insieme la voglia di indipendenza politica che anima la base delle Fabbriche e la strumentalità carismatica dell’organizzazione stessa, del tutto ritagliata sulle fattezze del leader pugliese? La domanda è ardita e richiede una risposta lunga almeno venti pagine, tante quante sono quelle del suo “La Fabbrica di Nichi. Comunità e politica nella postdemocrazia” - 2011, € 9,00.

Ma lui paiono aver risposto anche i cittadini, iperattivi sul web. In poche ore, il link pubblicato sulla pagina facebook de “La fabbrica”(si tratta in realtà di quella che, in gergo vendoliano, si definirebbe la Fabbrica Zero, con sede a Bari ed animata dallo staff presidenziale) ha raccolto molti commenti, tutti dello stesso tetro umore: “giammai noi operai finiremo ospiti di SeL, giammai tesserati di un partito che non ci merita”. Marco ce l’ha col presidente: «il vero problema è quel "di Nichi" che le vincola ad un personalismo alla lunga sterile».Valerio non tace il rancore verso Fratoianni, «giovane politico rampante che si permette di liquidarci in semplici comitati di scopo»,ricorda la matrice eterogenea delle identità oggi fuse insieme e si domanda critico: «che ne sa di cittadinanza attiva? E di partecipazione? Al nostro interno quanti non scapperebbero a gambe levatedalburocratismo dei partiti?». E dire che proprio lo scorso luglio, in un villaggio turistico barese, si era tenuto Eyjafjallajökull – Eruzioni di buona politica: un evento che si sarebbe chiamato kermesse (fossero a destra) oppure congresso (fossero al centro) o ancora stati generali (fossero dove sono). In quell’occasione, tronfia di merchandising griffato e volti abbronzati dal sole meridiano, Vendola lanciava la propria candidatura a premier - previe primarie di coalizione anche stavolta - e la piattaforma programmatica di quella che definisce l’“Italia migliore”. Eva allora si chiede perché mai non si sia affrontato anche il tema del destino delle fabbriche nel corso dell’happening barese, «ho provato a spiegarlo, ma non c'era tempo. Ho cercato di dare un senso diverso; donando del mio tempo, impegno e denaro (visto che siamo studenti che si finanziano da soli)». Il disagio ora è montato, tanto che la filiale romana dell’organizzazione ha preso carta e tastiera ed ha dettato un comunicato alle agenzie: “la nostra esperienza di quest’anno e mezzo di lavoro mostra che non siamo un comitato di scopo ma un soggetto innovativo - vi si legge. Per questo intendiamo andare avanti con la nostra azione, senza entrare in alcun partito perché, pur rispettandoli e cercando sempre confronti con essi, avvertiamo tutti i limiti di queste organizzazioni come strumenti di trasformazione della realtà”.

Non conoscono imbarazzi lessicali: “Fratoianni prima di parlare dovrebbe avere maggior contezza delle cose: le fabbriche non sono l’appendice scapestrata di Sel, ma la dimostrazione che se ci si libera da bizantismi, anacronismi e diktat e si mettono al centro le persone coi loro vissuti, proprio come ci insegna e ci ha incoraggiato a fare in questo tempo lo stesso Vendola, se il fare politica torna a essere voglia di andare incontro all’altro e non chiusura nei propri fortini, questo non solo genera partecipazione e consenso, ma può essere davvero in grado di mutare le cose. Dopo decenni di sconfitte la sinistra ha ricominciato a vincere, e tutte le esperienze vittoriose, da Milano ai Referendum fino anche alla vittoria di Nichi in Puglia, sono nate al di fuori dei partiti e quando i partiti hanno saggiamente fatto un passo indietro”. In un colpo solo, gli attivisti capitolini sconfessano il bullismo dei quadri dirigenti del partito e si appropriano degli ultimi successi. O meglio: precisano di non voler affatto “presidiare uno spazio politico a sinistra del più grande partito d’opposizione: un’operazione che ha una sua legittimità ma che appassiona ben poco”. I militanti intanto chiedono un intervento chiarificatore dello stesso Vendola (magari una celeberrima sua videolettera), cui rammentano una promessa finora disattesa: quell’aver prematuramente definito SeL, nel corso dell’ultimo congresso di Firenze, un «partito nato per sciogliersi». Il bailamme ha costretto lo staff ad intervenire: «stiamo lavorando all'incontro nazionale e questo dibattito accellera (sic!) la necessità di vedersi, andando al di là della rete. Sull'autocritica, a partire dal mancato avvio del sito nonostante le nostre promesse (e le difficoltà che abbiamo avuto ed abbiamo), e su una nuova partenza siamo d'accordo. E questa discussione è la dimostrazione che la Fabbrica è un movimento plurale, in cui le voci di tutti hanno la stessa importanza». A proposito di voci eretiche, pure a Fratoianni, il “ventriloquo” - come dicono i detrattrori, è toccato tornare sull’argomento, con una lettera: «in quel percorso ci sono anche molti limiti come accade le volte che ci si misura con la sperimentazione di nuove forme di organizzazione della partecipazione e della politica» ma tocca andare avanti, anche perché «l’unico strumento disponibile - salvo trasformare la partecipazione alle scelte in cooptazione all’interno della governance - è quello del conflitto».

Un bel grattacapo per il carismatico Nichi, che nel frattempo già si confrontava con mille altri intoppi amministrativi in materia di bilancio e sanità regionali. La crisi delle Fabbriche pare solo all’inizio, ma azzardiamo: che succederebbe se, di colpo, le tute blu incrociassero le braccia?


Antonio Aloisi, nel suo blog 
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